Cassazione Penale, Sezioni Unite, 26 febbraio 2021 (ud. 17 dicembre 2020), n. 7578, Presidente Cassano, Relatore Zaza.

A Cura degli Avvocati Maria Angelini, Marilena Monaco e Piero Paesanti.

Con la sentenza n. 7578 del 2021 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio di diritto: «il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti lillegittima riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen. nella misura di un terzo anziché della metà, deve applicare detta diminuente nella misura di legge, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado non rispetti le previsioni edittali, e sia di favore per l’imputato».

La sentenza in commento ribadisce il concetto di “immutabilità” della pena e ne cristallizza i presupposti. Nel caso di specie, il giudice di primo grado condannava l’imputato alla pena di mesi 2 di arresto, per il reato di cui all’art. 699, comma 2, c.p. (porto abusivo di un coltello a serramanico), ma l’imputato proponeva motivato appello, ritenendo l’errata qualificazione giuridica del fatto e l’erronea riduzione della pena per il rito, operata nella misura di un terzo in luogo della metà, come stabilito dall’art. 442 c.p.p. per le contravvenzioni. La Corte di Appello adita invece aveva riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 4, legge n. 110/1975 e, esclusa l’ipotesi del fatto di lieve entità, non aveva operato alcuna diminuzione della pena, ritenendo quella applicata in primo grado (due mesi di arresto) più favorevole di quella prevista dall’art. 4, legge n. 110/75, che stabilisce un minimo edittale di sei mesi di arresto. Si ricorreva per Cassazione sulla precipua vicenda.

La Prima Sezione Penale, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul tema devoluto dal ricorso dell’imputato (la possibilità di negare in appello effetti ulteriormente vantaggiosi a favore dell’imputato, che in primo grado ha fruito di una pena inferiore al minimo legale), con ordinanza adottata all’udienza del 30 settembre 2020, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.

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Sul tema ricorrono due differenti orientamenti.

Secondo un primo orientamento, il comma 4 dell’art. 597 c.p.p. presuppone che la pena, sulla quale si dovrebbe operare la riduzione per effetto dell’accoglimento dell’appello proposto dall’imputato, sia stata irrogata nel rispetto dei limiti di legge. In assenza di questa condizione, la riduzione ulteriore della pena determinerebbe un trattamento sanzionatorio non conforme alle previsioni edittali.

Un secondo orientamento osserva invece il tenore letterale dell’art. 597, comma 4, c.p.p., nella parte in cui non fa menzione del presupposto applicativo sulla conformità ai limiti edittali della pena irrogata in primo grado.

Le Sezioni Unite pertanto intervengono sulla questione e, prescindendo dai suddetti orientamenti, come sopra argomentati, ripercorrono il ragionamento a partire dal focus della questione e dall’art. 597, comma 4, c.p.p.; i Giudici della Suprema Corte, infatti, ricordano che la norma in commento fa esplicito ed esclusivo richiamo alla inderogabilità dell’applicazione degli effetti sanzionatori favorevoli per l’imputato, sull’accoglimento dell’appello che ha comportato l’esclusione di reati concorrenti o di circostanze aggravanti ovvero il riconoscimento di circostanze attenuanti. E, dunque, la norma di riferimento è il comma 1° dell’art. 597, c.p.p., che limita la cognizione del giudice di secondo grado ai soli «punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti».

Peraltro, secondo quanto previsto dalla sentenza delle S.U. N. 3357/2013, il giudice di appello non può operare una ricognizione sui punti diversi da quelli assunti dall’impugnazione. Il principio devolutivo, ricordano le Sezioni Unite, impone, anche in materia di trattamento sanzionatorio, la cognizione del giudice di appello unicamente ai punti relativi alle componenti di tale trattamento a cui si riferiscono specificamente i motivi di impugnazione proposti (Cass. pen., SU n. 12872/2017)[1]. E dunque, con riguardo al caso di specie, una volta riconosciuta la fondatezza di un motivo di appello che lamenta l’illegittima riduzione della pena in misura inferiore a quella prevista dalla legge per la diminuente del rito abbreviato, il giudice di secondo grado deve limitarsi ad adottare le conseguenti decisioni in ordine alla rideterminazione di tale riduzione nella misura corretta, non potendo la decisione essere estesa ad altre componenti del trattamento sanzionatorio che, si ripete ancora, non sono state investite dall’impugnazione.

Soccorre a questo punto precisare anche sull’art. 442, comma 2, c.p.p., nella parte in cui si inserisce la diminuzione della pena.

L’art. 442, comma 2, c.p.p., infatti, impone la diminuzione secca della pena nella misura della metà, per effetto della scelta difensiva e a seguito del rito abbreviato, nei procedimenti nei quali sono contestati reati contravvenzionali. Al carattere tassativo di questa previsione, quindi, nell’indicazione del quantum della riduzione, il giudice non può sottrarsi, spettando correlativamente all’imputato il diritto a vedersi decurtata la pena nella esatta dimensione prevista dalla legge.

In questa prospettiva, e solamente in quest’ultima, si può ricondurre l’attenzione sulla previsione dell’art. 597, comma 4, c.p.p. che, ad ogni buon conto, assume un significato ermeneutico differente e di ancillare conforto alle finalità che ne hanno giustificato ab initio la menzione di essa da parte dei Giudici della Corte.

Da quanto sopra esposto discende l’affermazione del principio di diritto sopra riportato.

[1] Rivista giuridica del 2021 e Quotidiano giuridico n. 1/1 CEDAM

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